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L'inverno avvolge il lago di Como in un silenzio appena rigato dal ronzio dell'idrovolante o dall'eco lontano di un aliscafo.
Una nevicata sposta lo sguardo dal blu immobile delle acque alle montagne, dove il bianco evidenzia particolari altrimenti nascosti.
Sulle cime case abbandonate o solo chiuse, a volte disposte come metafisici still life.
Nel sottobosco tracce che portano chissà dove, testimoni di una vita ignota al riparo degli alberi.
E ingrandisco esasperatamente le fotografie, incurante della perdita di definizione, in un blow up dove smarrisco prospettive ed equilibri per riconoscere nuove dimensioni:
lo sfaldamento delle costruzioni in rovina si somma a quello dei pixel, la contorsione dei rami spogli si confonde con il tremolio della lunga distanza.
Le sagome degli alberi ora incidono la neve come gocce d'inchiostro, ora sfumano i contorni fino a sembrare nuvole.
Ciò che di solito è relegato al semplice sfondo mi offre un mondo di presenze mute ma pulsanti, generatore di nuove armonie e suggestioni.
Un mondo da scoprire, discreto e lontanissimo.